TRATTO DA "SCACCO AL RE"


IL RISVEGLIO

 

Stanotte ho dormito male.
Mi sono girato e rigirato nel letto come se mi avesse morso una tarantola e mi sento più rincoglionito di quando mi sono coricato. Ho un cerchio alla testa fastidioso e forse oggi sarò fastidioso anch’io.
So di aver sognato molto, lo faccio spesso, ed ora riaffiorano immagini di approfittatori ingrati che sicuramente sono la causa di questa indisposizione.
Non sopporto chi prima vuole il mio aiuto e poi mi dimentica.
E’ vero: la gente ha poca memoria, o meglio, la possiede a fasi alterne in base a scontate, suinissime, esigenze del momento.
Sa dimenticare con la velocità di un lampo un film, una canzone, un regalo,ciò che ha appena letto… Ma soprattutto dimentica l’amore ricevuto, i momenti spensierati, il valore delle persone.
C’è chi dimentica di ringraziare, di pagare un conto, di telefonare per sapere se stai bene.
Chi si scorda, o meglio, finge di scordare che tutti hanno una vita e dei pensieri, dei problemi e delle predilezioni. Così incontri sempre qualcuno che, con sfarfallante leggerezza, sorvola sull’altrui per concentrarsi sul sé facendo finta di niente se vinci un premio o ottieni una gratificazione.
Si dimenticano gli onomastici, gli anniversari, i compleanni e purtroppo anche il tempo in cui, come scritto e ripetutamente sottolineato nel “Piccolo Principe”, si è stati bambini.
Ricordarlo vuol dire rammentare di avere avuto un cuore limpido e di aver sofferto per un cucciolo o per un amico andato a vivere in un’altra città.
Gettare uno sguardo alla fanciullezza risveglia un’anima che forse non si è ancora venduta al miglior offerente, e può aiutare i piedi a rintracciare quella strada che attraversava valli sconfinate popolate solo da bianchi cavalli alati e piccoli suonatori di cetra con buffi cappelli, seduti tra distese di viole, col volto al cielo per rimirare il gioco complice delle nuvole col vento.
Rievocare dal punto di partenza può far apprezzare ciò che abbiamo vissuto correndo.
Può ridare colori e sapori dissipatisi nell’aria come il fumo di un falò sulla spiaggia.
Può concedere una seconda possibilità, una terza, una quarta, una millesima…
Può dare la consapevolezza che tutta la vita trascorsa è stata piena di eventi piccoli e grandi che, come perle, hanno formato la collana che indossiamo e normalmente non degniamo di uno sguardo, obliando l’immenso valore che invero possiede.
Ripassare la lezione della vita ci può librare più in alto di un aquilone pur tenendoci legati all’invisibile filo della ragione e della concretezza.
Scordare vuol dire bruciare il terreno dietro di noi e quindi morire senza rendersene conto.

Forse si arriva inevitabilmente ad una fase dell’esistenza in cui fermare l’attimo diventa quasi una forma di ossessione.
Non mi considero speciale per cui, visto che sto provando queste sensazioni, penso sia così anche per il resto delle persone. Può darsi che per qualcuno il momento dei ricordi giunga in anticipo rispetto ad altri ma prima o poi tutti devono affrontare i conti con il proprio passato.
Il mio è un passato di canti che giungono da lontano.
Sono voci in concerto, una grande corale che non sempre gradisco ascoltare ma che riempie l’aria di musica, ora malinconica, ora allegra.
Riconosco molte di queste voci mentre altre non riesco ancora a individuarle, so che sono esistite realmente e che al canto danno un importante contributo, ma si nascondono dietro ad altre più potenti, colorate, impetuose, smaniose e ricche di pathos.
C’è un solo sistema per scinderle: toglierle una ad una, partendo proprio da queste ultime, per concentrarmi infine su quelle di sottofondo.
Da un po’ ho iniziato questo esercizio e l’avvio è stato caotico perché non sapevo decidere da chi incominciare. Ma dopo l’attacco tutto è sembrato seguire un filo logico, anzi pare davvero che le voci si mettano in fila per essere ascoltate con tranquillità e concentrazione, pronte a dire “presente” all’appello.
I suoni assumono forme, le forme diventano parole, le parole frasi, dialoghi, storie e le storie pezzetti di vita, la mia.
E’ un caleidoscopio; un puzzle ove ogni tassello, incastrandosi in un altro, dà il suo apporto all’immagine finale; è un gioco del domino in cui ogni piccolo evento è legato indissolubilmente sia a ciò che lo precede che a ciò che lo segue. La singola tessera non avrebbe senso isolata, ma acquista valore nella catena che vado costruendo.
Così almeno è stata la mia vita fino ad ora.
Niente è per caso: nessuno si è affacciato sui miei giorni casualmente e nessuno se ne è andato senza lasciare almeno una traccia.
Tutto ha seguito un copione scritto da un grande e misterioso sceneggiatore, tutto è stato scandito da un ritmo speciale e tutte le persone incontrate hanno unito il loro canto al mio e il mio si è unito al loro, tanto che se tendo l’orecchio tra i freddi rumori di una civiltà sempre più anonima, posso captare queste note intriganti.
Forse, di primo acchito, si confondono con la carezza del vento, ma chiudendo gli occhi, dopo qualche istante, le riesco ad udire appieno ed è come nascere ancora e ancora e ancora…
E’ il riprovare le emozioni più belle di un’intera esistenza.
E’ ritrovare il sapore dell’estate in un vaso di confettura aperto nel pieno del rigore invernale.
Io ho giocato al gioco dei ricordi con sommo divertimento e continuo a farlo con un pizzico di inevitabile nostalgia.
Ho iniziato un anno fa a scrivere racconti incentrati sui personaggi che hanno camminato al mio fianco, non importa se per un tramonto o per lunghi anni.
…E sono partito parlando di donne.
Ho preso un foglio bianco e, come fa il pittore con la tela, una volta identificato il soggetto ne ho tracciato, parola dopo parola, pennellata dopo pennellata, il ritratto.
Ora sono qui, davanti a me, in mucchietti di pagine apparentemente tutte uguali ma contenenti storie così diverse tra loro da farmi pensare che ogni persona è veramente un piccolo mondo.
Sono donne che ho osservato con attenzione.
Ho cercato di entrare nella loro anima attraverso episodi vissuti insieme o carpiti al racconto di amici; ho tentato di trovare un comune denominatore che le rendesse sorelle e sono giunto alla conclusione che ciò che le accomuna è l’amore.
L’amore ricercato, implorato, rifiutato, abusato, schivato, sacrificato…
L’amore per il quale si sono annientate o che le ha trasformate in mantidi capaci di usare i sentimenti per un fine meschino, l’amore che le ha rese più belle o le ha fatte invecchiare troppo in fretta, l’amore vissuto con gioia, quello di un’intera esistenza o quello di cinque minuti…

La voglia di creare un romanzo da questi ritratti è veramente forte.
Un romanzo… Mi sembra una parola così grande, imponente, seria…
Non ho mai scritto un romanzo, ci ho sempre pensato - è vero - ma non misono mai cimentato! Forse non avevo l’argomento adatto, forse non il coraggio sufficiente, forse il timore di esserne incapace…
Al diavolo le remore e i troppi pudori, libri di poesie ne ho già pubblicati tre, li ho pagati in tutti i sensi, li ho sudati, difesi, pubblicizzati, presentati al pubblico in modo ogni volta diverso, li ho amati.
Ho assaporato gli applausi, le parole lusinghiere, le lettere piene di affetto, i complimenti inaspettati di sconosciuti.
Mi sono imbestialito con chi mi ha snobbato senza tentare di conoscermi, di leggere anche una sola pagina; quando ai miei ripetuti inviti, alle ormai numerose presentazioni, tanti hanno finto scuse banali per non essere presenti.
I libri sono il mio tesoro e ancora troppi giacciono ammucchiati in garage in scatole di cartone, ognuna contenente quindici copie dei miei tre capolavori. Capolavori per me, ovviamente, che li considero figli miei, e i figli, si sa, sono sempre belli, i propri poi sono i più belli, i più intelligenti, i più educati, i più onesti… Insomma, non hanno eguali…
Ho ancora un po’ di spazio sui bancali e sulle scaffalature per cui scatola più, scatola meno, un nuovo libro dovrei riuscire ad archiviarlo nel “Refugium peccatorum” senza eccessivi problemi.
A volte mi chiedo perché insisto a sbattere continuamente la testa contro gli stessi muri. Dicono che errare sia umano e perseverare diabolico quindi, nel caso specifico, o sono Lucifero in persona o un pazzo senza alcuna possibilità di salvezza.
Maggiori ostacoli trovo più mi sento spronato a continuare con ritmo serrato, con una perseveranza e una caparbietà che mai avrei pensato di possedere e che ogni volta mi sorprende. Sembra che io sia il protagonista di una crociata, che la mia sia una missione… Probabilmente una missione impossibile.

Ecco perché mi sono svegliato tanto inverso: venivo dimenticato.
Ecco la chiave: il vero motivo per cui insisto a mettere nero su bianco pensieri e racconti è quello di lasciare la prova tangibile del mio passaggio su questa terra.
Avessi un bimbo da crescere e da preparare al futuro forse non sentirei questa pressante esigenza. Un figlio, è risaputo, è il nostro frutto, la staffetta che porterà la fiamma di Olimpia in giro per il mondo che verrà, il legame tra noi, il passato e l’eternità.
Spero che ciò possa un giorno verificarsi osservando un mio quadro o leggendo un mio libro.
Quel giorno ovviamente non ci sarò a cogliere tale soddisfazione, ma la sola ipotesi già mi basta.
E se invece dall’alto della mia nuvola potessi osservare tutta la scena?
Meglio non illudersi e visto che sono cocciuto come un mulo allo stato brado e che il libro lo voglio realizzare, a dispetto dell’avversa sorte cui sarà destinato, ho bisogno di far leggere le mie bozze a un critico fidato e particolarmente suscettibile.
Chi meglio di Antonio può svolgere questo delicato compito?
Sarà lui a trovare le pecche dei miei scritti con la delicatezza di un orso di montagna ma anche con la sincerità di un’anima limpida, cristallina.
Spero solo di non impermalosirmi, di mantenere una serafica calma ed accettare ogni commento, per quanto sgradevole possa apparirmi. Meglio subire un attacco adesso che non a romanzo già stampato e, soprattutto, pagato.


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